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"VinSanto"... l´ingegno dell´enologia italiana

"VinSanto"... l’ingegno dell’enologia italiana

Il “Vin Santo” è considerato uno tra i simboli indiscussi dell’enologia Italiana, sia per l’insolita metodologia di vinificazione e sia per le sue origini storiche.

Difatti le prime testimonianze ritenute più attendibili, risalgono al Cristianesimo, durante il medesimo periodo venne considerato un vino puro e solitamente utilizzato per la celebrazione del rito canonico della messa.

Un’ulteriore giustificazione dell’origine del nome “Vin Santo” è strettamente connessa al periodo in cui si è soliti procedere con l’imbottigliamento, che coincide con i periodi più importanti del calendario liturgico, Novembre mese durante il quale si celebrano i Santi, Dicembre il periodo del Santo Natale o Aprile per l’avvento della Santa Pasqua.

Successivamente molti collocarono le origini del “Vin Santo”  al lontano 1348 nel corso della peste a Siena, durante il quale i Frati somministravano alla gente infettata ed in procinto di morte il Vinsanto ed essi erano soliti esclamare “Vinsanto”; a seguito del sollievo arrecato e per le comprovate proprietà miracolose si è dato il nome “Vin Santo”.

Un’ulteriore versione si colloca al 1439 anno del Concilio indetto da Papa Eugenio IV per l’unione della Chiesa occidentale con quella orientale, durante il quale il Cardinal Bessarione, nonché Vescovo di Nicea, assaggiando il vino dolce toscano esclamò: "Ma questo è Xantos!" convertito successivamente in latino “santus”.

Come accennato inizialmente il Vinsanto è considerato il prodotto tra i più affascinati dell’enologia italiana e le uve impiegate sono principalmente Trebbiano e Malvasia, ma anche il Sangiovese.

La raccolta avveniva rigorosamente a mano con una selezione dei migliori grappoli, appassiti successivamente distendendoli singolarmente su stuoie o appendendoli a ganci. Successivamente alla fase di appassimento, che consentiva una riduzione della quantità di acqua negli acini ed un incremento del residuo zuccherino, si procedeva con una soffice pigiatura, il mosto veniva trasferito in contenitori di legno dalle dimensione che variavano tra i 5 e 50 litri, rigorosamente già utilizzati per la produzione delle vecchie annate. Un aspetto insolito era l’utilizzo della c.d. feccia, la quale veniva gelosamente immersa nel mosto, in quanto si riteneva che parte delle caratteristiche organolettiche fossero direttamente connesse al suo utilizzo, al punto tale da essere annoverata come madre del “Vin Santo”.

Oggi singolo contenitore ero collocato nelle soffitte o sottotetti, in quanto ritenuti luoghi con importante escursione termica in grado di giovare alla fermentazione e conferire quei particolari sentori al vino.

Terminato il processo di vinificazione si passava ad un lungo invecchiamento che variava da 3 (tre) a 10 (dieci) anni

Ad oggi le nuove disposizione igienico sanitarie non consento di seguire meticolosamente le vecchie metodologie produttive, di fatti si utilizzano nuovi contenitori in legno e molti produttori adoperano anche un po’ di c.d. madre del “Vin Santo”, in quanto indispensabile per conferire al vino quei sentori che ricongiungono il palato con un’antica tradizione

La tradizione del vinsanto ridonda nella tradizione vitivinicola Umbra.

Negli abbinamenti enogastronomici si predilige il vinsanto per l’accompagnamento con i dessert ma anche con piatti a base di formaggi stagionati, ma è anche utilizzato per la produzione stessa di dolci.

Il “Vin Santo” strepitoso progetto dell’enologia è uno dei vini che raccontano di un passato ancora presente della Tradizione Vitivinicola Italiana.

 


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